Suppongo che siano stati pochi coloro che si sono presi la briga di leggere integralmente il discorso del Papa. Molti avranno fatto come sempre si fa in questi casi: stralci ricavati dalle agenzie, riassunti, frasi e citazioni. Chi ha preso Il Foglio di ieri magari si è limitato a leggere il titolo: “Papa galileiano spiega ai sapienti la ricerca della verità”. Fatto ciò ci si è sentiti in diritto di sparare bordate pro o contro i “sessantottini-intolleranti-come-ai-tempi-di-Lama” o contro i “baciapile-clericali-reazionari-e-magari-anche-un-po’-fascisti”. Entrambi avrebbero posizioni avrebbero le proprie ragioni da addurre: da una parte si potrebbe criticare l’uso frequente della parola “verità” in un discorso sulla ricerca scientifica, dall’atra si farebbe notare come non vi siano forzature o prese di posizione preconcette.
Io, nel mio piccolo, voglio fare quello che a mio avviso risulta più rispettoso nei confronti dello sforzo del Santo Padre e al tempo stesso ciò che la logica della tolleranza dovrebbe richiedere: mi sforzerò di commentare nel mio piccolo il discorso mai tenuto. Almeno io, in tutta onestà, posso dire di averlo letto dalla prima all’ultima parola. Premetto di essere cattolico e, tuttavia, non mi sento esentato da poter esprimere consciamente un’opinione dato che mi sono laureato con una tesi in Metodologia delle scienze sociali.
Che cosa dice il discorso di Benedetto XVI? Esso rivendica orgogliosamente il diritto di un papa a parlare all’apertura di un anno accademico nell’Università della città di cui è Pastore: “il Papa è anzitutto Vescovo di Roma”; e ricorda in modo incidentale come l’Istituzione in cui parla sia stata fondata da un Papa, Bonifacio VIII, così come l’Università stessa nasce in seno alla Chiesa.
Non è soltanto una ragione storica da vincolare alla gratitudine, però, che dovrebbe legittimare il Papa a parlare di fronte alla comunità accademica. Si tratta qualcosa di più profondo: il diritto della fede a parlare e ad ispirare la ragione.
Il discorso del Papa è profondo, a volte perfino arduo. E confesso che alcuni passaggi rappresentano salti audaci che non sempre hanno una consequenzialità logica facile da afferrare per chi non ha il dono della fede. Tuttavia su questo è bene ragionare. Il metodo scientifico attualmente si riconosce, anche se non univocamente, nel fallibilismo popperiano, corrente che si è progressivamente imposta sull’induttivismo. Cosa dice il falsificazionismo? In sostanza asserisce che noi non partiamo dalla constatazione di ciò che accade in natura per formulare e verificare una teoria, ma che la capacità creativa dell’uomo tenta di unire cause a conseguenze di fatti che osserva, senza tuttavia avere mai la certezza che ciò che si proclama sia vero. Newton sembrava avere inequivocabilmente ragione (chi non conosce la storia della mela?), ma Einstein ne ha dimostrato falle immense. Così più semplicemente ciò che appariva di un’evidenza lapalissiana, che il Sole girasse intorno alla Terra, è idea di cui ora sorrideremmo. Possiamo dunque parlare di Verità all’interno del metodo scientifico? Certamente no. Lo scienziato dovrebbe rispondere con lo stesso scetticismo di Pilato: “che cos’è la Verità?”
In tal senso forse Ratzinger esige troppo quando dice “la storia dei santi , la storia dell’umanesimo cresciuto sulla base della fede cristiana dimostra la verità di questa fede nel suo nucleo essenziale, rendendola con ciò anche un’istanza per la ragione pubblica”. Né è sufficiente la precisazione che “molto di ciò che dicono la teologia e la fede può essere fatto proprio solo all’interno della fede e quindi non può presentarsi come esigenza per coloro ai quali questa fede rimane inaccessibile”: questa considerazione infatti non nega quanto detto precedentemente sulla verità del nucleo essenziale della fede. Tuttavia credo che ciò possa essergli perdonato proprio in quanto Papa: non ha mai cercato di celarsi come fanno molti dietro un’aura d’imparzialità o di cosiddetto laicismo. Inoltre su quanto segue forse anche Popper avrebbe sottoscritto: “il messaggio cristiano in base alla sua origine, dovrebbe essere sempre un incoraggiamento verso la verità e così una forza contro la pressione del potere e degli interessi”. Dal momento in cui Kant fece a pezzi la metafisica si è stentato a trovare un posto per questa nel mondo della filosofia. E pure quest’ultima, come ammette lo stesso Ratzinger, stenta a trovare un proprio ruolo. Possiamo quindi ripensare la Verità come concetto? Dobbiamo tornare a Socrate, come suggerisce Benedetto XVI? Tentare di dare risposte a queste domande non può essere fatto in poche righe e sarebbe sempre e comunque un modesto ed inadeguato tentativo.
Due questioni tuttavia non possono essere eluse.
In primis la riflessione che fa Ratzinger sul pensiero di Rawls che “pur negando a dottrine religiose comprensive il carattere della ragion ‘pubblica’, vede tuttavia nella loro ragione ‘non pubblica’ almeno una ragione che non potrebbe, nel nome di una razionalità secolaristicamente indurita, essere semplicemente disconosciuta a coloro che la sostengono”. In breve il messaggio suona come: laicismo o no non potete chiedere ai cattolici semplicemente di stare zitti ma dovete dibattere con loro sul merito delle questioni. Non è un caso che Rawls sia filosofo politico contemporaneo particolarmente caro alla sinistra.
Secondariamente vi è un’altra considerazione che è bene fare. Ciò che lascia impressionati è lo sforzo impressionante per conciliare la fede con la scienza. E tale sforzo è ancor più lodevole se pensiamo che la comunità scientifica agisce nei confronti della religione con una spocchia a volte ingiustificata. Come si può dire che l’etica andrebbe sacrificata alla ragione? Che la scienza ha diritto di prendere le decisioni senza tener conto delle istanze religiose o morali? Se guardiamo alla legge di Hume non è lecito passare dal piano dell'essere al piano del dovere essere. Tuttavia se è vero che da un’azione intenzionale derivano infinite conseguenze intenzionali è forse il caso di domandarci quali risultati si avrebbero da pratiche scientifiche che intervengono sulla manipolazione della vita. Ritengo sia indubitabile, per esempio, ammettere che non è possibile calcolare esattamente come un organismo geneticamente modificato interagisca con l’ecosistema. E se è vero che anche il famoso battito d’ali di una farfalla può far piovere, non possiamo semplicemente fare spallucce su quali siano i prodotti di pratiche quali la clonazione o le pratiche eugenetiche. L’etica, specie quella della vita, richiede l’intervento della religione perché non si può lasciare assoluta libertà di scelta. Anche ponendo come vincolo “il bene dell’essere umano”, chi può definire un tale concetto? Per Zeno Cosini, ne “La coscienza di Zeno” di Svevo, la liberazione dalla malattia sarebbe stata una conflagrazione che distruggesse l’universo. Un paradosso? La filosofia vive di questi da quando fu inventata.
Un gruppetto di scalmanati non può far tacere queste domande. Strillino forte, ma tali questioni sono scritte nel cuore dell’uomo.
Io, nel mio piccolo, voglio fare quello che a mio avviso risulta più rispettoso nei confronti dello sforzo del Santo Padre e al tempo stesso ciò che la logica della tolleranza dovrebbe richiedere: mi sforzerò di commentare nel mio piccolo il discorso mai tenuto. Almeno io, in tutta onestà, posso dire di averlo letto dalla prima all’ultima parola. Premetto di essere cattolico e, tuttavia, non mi sento esentato da poter esprimere consciamente un’opinione dato che mi sono laureato con una tesi in Metodologia delle scienze sociali.
Che cosa dice il discorso di Benedetto XVI? Esso rivendica orgogliosamente il diritto di un papa a parlare all’apertura di un anno accademico nell’Università della città di cui è Pastore: “il Papa è anzitutto Vescovo di Roma”; e ricorda in modo incidentale come l’Istituzione in cui parla sia stata fondata da un Papa, Bonifacio VIII, così come l’Università stessa nasce in seno alla Chiesa.
Non è soltanto una ragione storica da vincolare alla gratitudine, però, che dovrebbe legittimare il Papa a parlare di fronte alla comunità accademica. Si tratta qualcosa di più profondo: il diritto della fede a parlare e ad ispirare la ragione.
Il discorso del Papa è profondo, a volte perfino arduo. E confesso che alcuni passaggi rappresentano salti audaci che non sempre hanno una consequenzialità logica facile da afferrare per chi non ha il dono della fede. Tuttavia su questo è bene ragionare. Il metodo scientifico attualmente si riconosce, anche se non univocamente, nel fallibilismo popperiano, corrente che si è progressivamente imposta sull’induttivismo. Cosa dice il falsificazionismo? In sostanza asserisce che noi non partiamo dalla constatazione di ciò che accade in natura per formulare e verificare una teoria, ma che la capacità creativa dell’uomo tenta di unire cause a conseguenze di fatti che osserva, senza tuttavia avere mai la certezza che ciò che si proclama sia vero. Newton sembrava avere inequivocabilmente ragione (chi non conosce la storia della mela?), ma Einstein ne ha dimostrato falle immense. Così più semplicemente ciò che appariva di un’evidenza lapalissiana, che il Sole girasse intorno alla Terra, è idea di cui ora sorrideremmo. Possiamo dunque parlare di Verità all’interno del metodo scientifico? Certamente no. Lo scienziato dovrebbe rispondere con lo stesso scetticismo di Pilato: “che cos’è la Verità?”
In tal senso forse Ratzinger esige troppo quando dice “la storia dei santi , la storia dell’umanesimo cresciuto sulla base della fede cristiana dimostra la verità di questa fede nel suo nucleo essenziale, rendendola con ciò anche un’istanza per la ragione pubblica”. Né è sufficiente la precisazione che “molto di ciò che dicono la teologia e la fede può essere fatto proprio solo all’interno della fede e quindi non può presentarsi come esigenza per coloro ai quali questa fede rimane inaccessibile”: questa considerazione infatti non nega quanto detto precedentemente sulla verità del nucleo essenziale della fede. Tuttavia credo che ciò possa essergli perdonato proprio in quanto Papa: non ha mai cercato di celarsi come fanno molti dietro un’aura d’imparzialità o di cosiddetto laicismo. Inoltre su quanto segue forse anche Popper avrebbe sottoscritto: “il messaggio cristiano in base alla sua origine, dovrebbe essere sempre un incoraggiamento verso la verità e così una forza contro la pressione del potere e degli interessi”. Dal momento in cui Kant fece a pezzi la metafisica si è stentato a trovare un posto per questa nel mondo della filosofia. E pure quest’ultima, come ammette lo stesso Ratzinger, stenta a trovare un proprio ruolo. Possiamo quindi ripensare la Verità come concetto? Dobbiamo tornare a Socrate, come suggerisce Benedetto XVI? Tentare di dare risposte a queste domande non può essere fatto in poche righe e sarebbe sempre e comunque un modesto ed inadeguato tentativo.
Due questioni tuttavia non possono essere eluse.
In primis la riflessione che fa Ratzinger sul pensiero di Rawls che “pur negando a dottrine religiose comprensive il carattere della ragion ‘pubblica’, vede tuttavia nella loro ragione ‘non pubblica’ almeno una ragione che non potrebbe, nel nome di una razionalità secolaristicamente indurita, essere semplicemente disconosciuta a coloro che la sostengono”. In breve il messaggio suona come: laicismo o no non potete chiedere ai cattolici semplicemente di stare zitti ma dovete dibattere con loro sul merito delle questioni. Non è un caso che Rawls sia filosofo politico contemporaneo particolarmente caro alla sinistra.
Secondariamente vi è un’altra considerazione che è bene fare. Ciò che lascia impressionati è lo sforzo impressionante per conciliare la fede con la scienza. E tale sforzo è ancor più lodevole se pensiamo che la comunità scientifica agisce nei confronti della religione con una spocchia a volte ingiustificata. Come si può dire che l’etica andrebbe sacrificata alla ragione? Che la scienza ha diritto di prendere le decisioni senza tener conto delle istanze religiose o morali? Se guardiamo alla legge di Hume non è lecito passare dal piano dell'essere al piano del dovere essere. Tuttavia se è vero che da un’azione intenzionale derivano infinite conseguenze intenzionali è forse il caso di domandarci quali risultati si avrebbero da pratiche scientifiche che intervengono sulla manipolazione della vita. Ritengo sia indubitabile, per esempio, ammettere che non è possibile calcolare esattamente come un organismo geneticamente modificato interagisca con l’ecosistema. E se è vero che anche il famoso battito d’ali di una farfalla può far piovere, non possiamo semplicemente fare spallucce su quali siano i prodotti di pratiche quali la clonazione o le pratiche eugenetiche. L’etica, specie quella della vita, richiede l’intervento della religione perché non si può lasciare assoluta libertà di scelta. Anche ponendo come vincolo “il bene dell’essere umano”, chi può definire un tale concetto? Per Zeno Cosini, ne “La coscienza di Zeno” di Svevo, la liberazione dalla malattia sarebbe stata una conflagrazione che distruggesse l’universo. Un paradosso? La filosofia vive di questi da quando fu inventata.
Un gruppetto di scalmanati non può far tacere queste domande. Strillino forte, ma tali questioni sono scritte nel cuore dell’uomo.
Il testo integrale del discorso
2 commenti:
Caro Aetius
qualche idea partendo dalla tua interessante analisi.
Tu citi il passo del discorso che dice:"“la storia dei santi , la storia dell’umanesimo cresciuto sulla base della fede cristiana dimostra la verità di questa fede nel suo nucleo essenziale, rendendola con ciò anche un’istanza per la ragione pubblica”
commentando che forse il Papa esige troppo in merito alla Verità. La frase però va letta nel suo contesto. Appena prima il SAnto Padre dice:"Varie cose dette da teologi nel corso della storia o anche tradotte in pratica dalla autorità ecclesiasitche, sono state dimostrate false dalla storia e oggi ci confondono. Ma allo stesso tempo è vero che la storia dei santi (...)"
Un'affermazione coraggiosa, ed anche equivocabile se non la si legge con attenzione. Invita a distinguere tra ciò che gli uomini dicono e fanno, e tra questi magari anche Papi, e la Verità Incarnata. Il fatto che i santi abbiano saputo vivere la Fede significa che essa è reale, fatta di carne e di sangue, che risponde al cuore umano per davvero, anche se certi uomini di Chiesa o certe autorità ecclesiastiche si sono comportate male. Questo, credo, intende dirci Papa Ratzinger.
A rileggerci
Emanuel
Non intendevo certo decontestualizzare. Anzi, nonostante la tua idea, che mi pare assolutamente corretta, non penso di aver sbagliato: è corragiosissima l'ammissione di errore nel percorso umano degli uomini di fede; resta valida tuttavia l'affermazione della "verità di questa fede nel suo nucleo essenziale". Che, metodologicamente parlando, è frase decontestualizzata. Se mi parli da cattolico non posso che essere, invece, d'accordo con te. I miei amici atei tuttavia, faticherebbero a dare validità al passaggio, mentre il laicisti vi si appiglierebbero per demolirlo nell'insieme. Sono credente e ti capisco: tuttavia stai attento perchè "i figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce". A presto
Aetius
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