Un mio buon amico mi rimprovererebbe delle mie uscite neopagane, ma io al Natale di Roma ci ho sempre tenuto. Nell’inno nazionale una delle parti che prediligo è “che schiava di Roma Iddio la creò”. Eh sì, sono un nordico atipico.
Fin dai tempi degli albori della Repubblica romana, i barbari scendevano dalla Gallia Cisalpina a mettere a ferro e fuoco l’Urbe. Qualche cultore della storia ricorderà Brenno e il suo “Vae victis!”. Persino Annibale, nonostante la sostanziale unità dei soci italici, trovò nei Padani degli alleati. Meglio coi tunisini che con Roma ladrona? Non esattamente: a Canne la vittoria del Cartaginese fu possibile proprio per il cedimento del centro del fronte retto dai Galli.
Non mi arrischio a fare liaisons genetiche o culturali coi Galli che abitavano la pianura intorno a Mediolanum: neppure la Lega sa decidersi a rivendicarli come progenitori dato che ha deciso di pescare secondo le convenienze ora dai Celti in generale, ora dai Cimbri, ora dai Comuni medievali, ora dalla Serenissima. Eppure qualche ricorso storico evidentemente deve esserci. Saccheggiati e saccheggiatori, mortali nemici di Roma, essi seppero anche diventarne secondo le convenienze alleata, fino ad ottenere l’onore della cittadinanza.
Oggi sarebbe antistorico negare che l’unità d’Italia fosse una pulsione che nasceva principalmente dal nord. Ormai, nel momento in cui il ministro dell’Agricoltura in pectore (di Bossi) Luca Zaia mette in discussione la correttezza del plebiscito con cui si annetteva il Veneto alla Nazione, sembra opinione condivisa che il Risorgimento altro non sia che una guerra espansionistica del Piemonte. Eppure dal settentrione partì. Il sud la subì, in modo alquanto riottoso. E probabilmente non gli convenne neppure. Roma fu una delle ultime terre ad essere liberata, nonappena i francesi che la proteggevano furono distratti dal compito dall’esercito prussiano.
Ma che c’entra tutto ciò? Nulla. O meglio, sono le solite chiacchiere per dimostrare che il vittimismo del Nord non ha poi tutto questo fondamento. Ed io difendo Roma. Una Roma splendida che è la coscienza dell’umanità da 2761 anni (beh, magari non proprio dall’epoca in cui si facevano i sacrifici umani). Una Roma che era la ragione ingombrante per cui dirsi di destra in Italia. Una ragione che la destra attuale ha smarrito o volutamente sacrificato, sommerso sotto una voglia di federalismo che sta alla secessione come i socialdemocratici all’inizio del ‘900 stavano al comunismo.
Oggi tutto sembra darmi torto: il federalismo trova argomentazioni in ogni scienza sociale; il voto a favore della Lega Nord cresce; i detrattori di un concetto di Nazione aumentano con la convinzione che, seppur sia mai esistita una nazione, questa non sia stata in ogni caso l’Italia. Ed io non voglio convincere che lo stato centralista è bello. Ritengo solo che non sia necessario mettere in discussione le fondamenta culturali dello Stato per arrivare ad una forma di autonomia sul piano fiscale; che il meridione aumenterà il proprio livello di isolamento tanto più incrementerà il localismo; che il regionalismo estremo è funzionale al territorio soltanto ove sia inserito in un sistema superiore che gli dia tutela in un’ottica di sussidiarietà (almeno nel contesto attuale). In una parola: la Regione Veneto può esistere autonomamente per ciò che concerne l’economia, ma non per ciò che riguarda la finanza; per il welfare ma non per la difesa; per le politiche sociali e non per quelle dell’immigrazione. Al che si tratta di scegliere: Italia, Europa o Padania. Ma se scegliete la terza cambiatele almeno nome: è vero che Eridania poteva dar adito a confusioni, ma Padania è il sinonimo di cacofonia. Io nel frattempo festeggio il Natale di Roma. In fin dei conti preferisco questo neopaganesimo all’ampolla d’acqua raccolta al Monviso e versata in laguna: quell’acqua in Adriatico ci arriverebbe da sola in ogni caso.
Fin dai tempi degli albori della Repubblica romana, i barbari scendevano dalla Gallia Cisalpina a mettere a ferro e fuoco l’Urbe. Qualche cultore della storia ricorderà Brenno e il suo “Vae victis!”. Persino Annibale, nonostante la sostanziale unità dei soci italici, trovò nei Padani degli alleati. Meglio coi tunisini che con Roma ladrona? Non esattamente: a Canne la vittoria del Cartaginese fu possibile proprio per il cedimento del centro del fronte retto dai Galli.
Non mi arrischio a fare liaisons genetiche o culturali coi Galli che abitavano la pianura intorno a Mediolanum: neppure la Lega sa decidersi a rivendicarli come progenitori dato che ha deciso di pescare secondo le convenienze ora dai Celti in generale, ora dai Cimbri, ora dai Comuni medievali, ora dalla Serenissima. Eppure qualche ricorso storico evidentemente deve esserci. Saccheggiati e saccheggiatori, mortali nemici di Roma, essi seppero anche diventarne secondo le convenienze alleata, fino ad ottenere l’onore della cittadinanza.
Oggi sarebbe antistorico negare che l’unità d’Italia fosse una pulsione che nasceva principalmente dal nord. Ormai, nel momento in cui il ministro dell’Agricoltura in pectore (di Bossi) Luca Zaia mette in discussione la correttezza del plebiscito con cui si annetteva il Veneto alla Nazione, sembra opinione condivisa che il Risorgimento altro non sia che una guerra espansionistica del Piemonte. Eppure dal settentrione partì. Il sud la subì, in modo alquanto riottoso. E probabilmente non gli convenne neppure. Roma fu una delle ultime terre ad essere liberata, nonappena i francesi che la proteggevano furono distratti dal compito dall’esercito prussiano.
Ma che c’entra tutto ciò? Nulla. O meglio, sono le solite chiacchiere per dimostrare che il vittimismo del Nord non ha poi tutto questo fondamento. Ed io difendo Roma. Una Roma splendida che è la coscienza dell’umanità da 2761 anni (beh, magari non proprio dall’epoca in cui si facevano i sacrifici umani). Una Roma che era la ragione ingombrante per cui dirsi di destra in Italia. Una ragione che la destra attuale ha smarrito o volutamente sacrificato, sommerso sotto una voglia di federalismo che sta alla secessione come i socialdemocratici all’inizio del ‘900 stavano al comunismo.
Oggi tutto sembra darmi torto: il federalismo trova argomentazioni in ogni scienza sociale; il voto a favore della Lega Nord cresce; i detrattori di un concetto di Nazione aumentano con la convinzione che, seppur sia mai esistita una nazione, questa non sia stata in ogni caso l’Italia. Ed io non voglio convincere che lo stato centralista è bello. Ritengo solo che non sia necessario mettere in discussione le fondamenta culturali dello Stato per arrivare ad una forma di autonomia sul piano fiscale; che il meridione aumenterà il proprio livello di isolamento tanto più incrementerà il localismo; che il regionalismo estremo è funzionale al territorio soltanto ove sia inserito in un sistema superiore che gli dia tutela in un’ottica di sussidiarietà (almeno nel contesto attuale). In una parola: la Regione Veneto può esistere autonomamente per ciò che concerne l’economia, ma non per ciò che riguarda la finanza; per il welfare ma non per la difesa; per le politiche sociali e non per quelle dell’immigrazione. Al che si tratta di scegliere: Italia, Europa o Padania. Ma se scegliete la terza cambiatele almeno nome: è vero che Eridania poteva dar adito a confusioni, ma Padania è il sinonimo di cacofonia. Io nel frattempo festeggio il Natale di Roma. In fin dei conti preferisco questo neopaganesimo all’ampolla d’acqua raccolta al Monviso e versata in laguna: quell’acqua in Adriatico ci arriverebbe da sola in ogni caso.