La vittoria di Gianni Alemanno mi ha entusiasmato. Non tutti la penseranno così, è naturale. Ed è forse la controprova di una mia pressante convinzione: essa rappresenta il punto più alto della parabola della Destra italiana del dopoguerra e ne è,nel contempo, la fine. Nel momento in cui in piazza del Campidoglio i saluti romani venivano contestati (seppur immediatamente rilevati da alcune testate giornalistiche, con somma ipocrisia dato che io che ero presente posso testimoniare che gli autori venivano subito redarguiti), nel momento in cui uno striscione con una croce celtica della sezione Aurelia veniva subito fatto rimuovere, la Destra romana vedeva, con la sua apoteosi, un chiaro segnale che questa le veniva concessa solo a prezzo di un suo snaturamento: in una conclusione dell'abiura del passato. E dell'inclusione in un soggetto che non la rappresenta più.
Alleanza Nazionale era già questa un contenitore, ma più che altro un bel pacco regalo: la cenere sotto cui poteva ancora covare la brace. Alcuni appartenenti a questo partito come il sottoscritto ne erano consapevoli e si cullavano nell'idea che sul lungo periodo, grazie ad iniezioni moderate dall'esterno, le due pulsioni avrebbero potuto temperarsi e dar vita ad un partito conservatore di matrice europea: democratico, nazionale e popolare. Con la fusione finale che ha portato al Popolo della Libertà tutto questo si è mutato in un'illusione. Cossiga ebbe ad esprimere la convinzione che questo nuovo soggetto fosse esattamente quello che dicevo prima: un partito conservatore, liberale, democratico, nazionale e popolare. A mio avviso sbaglia. Le correnti che si incontrano in questo coacervo sono tante e tanto varie da non poter giungere a questa definizione. Stefania Craxi ricordava che sono presenti moltissimi socialisti. Rotondi era in Campidoglio insieme a Cicchitto. Comunisti pentiti come Sandro Bondi ne fanno parte. C'è il liberismo, il movimento radicale, una parte del mondo cattolico, le istanze filo-israeliane e filo-americane. Ed inoltre l'universo composito di Alleanza Nazionale. Per non parlare dei berlusconiani tout-court. E' difficile dire che questo possa chiamarsi soltanto conservatorismo nazionale, liberale, popolare.
Dopo le elezioni e soprattutto dopo le vittorie ragranellate in ogni ordine e grado di amministrazione non è più pensabile tornare indietro. Da qui si può solo procedere. La mia opinione a questo proposito è nota: avrei preferito qualcosa di diverso. Ma accetto la realtà e non mi rifugio nell'utopismo. Oggi qualcosa di diverso non potrebbe essere praticabile. Viviamo in un ecosistema ed in questo dobbiamo adattarci a sopravvivere. Non possiamo pensare di spostarci con la gravità di Giove se siamo sulla Terra. E se devo guardare al futuro vedo questi saluti romani, queste croci celtiche come un segno del passato che verranno progressivamente riassorbite ed infine cancellate. Credo invece che un conservatorismo nazionale e popolare sia una corrente che può sopravvivere all'interno del Pdl. Una corrente, ne sono cosciente. Non una definizione che potrà mai includere o definire questo movimento politico nuovo. Abbiamo voluto un bipolarismo che assomiglia tanto ad un bipartitismo: dovremo imparare a viverci dentro. Con la vittoria di Alemanno però si chiude un ciclo, sancito peraltro in modo inequivocabilie dall'elezione di Gianfranco Fini a Presidente della Camera dei Deputati. Oggi la sfida si gioca sulla costituzione del Popolo della Libertà. Sulla sua organizzazione interna, sulla sua democrazia interna (che non è per nulla scontata). A questo punto nessuno si deve fare infinocchiare dall'idea che il vecchio partito di massa sia morto e sepolto. Dobbiamo costruire spazi di dibattito che non si basino soltanto sui personalismi dei leader e sulla spartizione delle cariche. Se saranno partiti all'americana quelli nati nelle scorse elezioni dovremmo imparare le vie del lobbismo, che non sono soltanto espressioni delle classi economiche e finanziarie ma devono essere anche pulsioni culturali di associazioni e think-tank. Americani? Ok, ma non a metà.
Alleanza Nazionale era già questa un contenitore, ma più che altro un bel pacco regalo: la cenere sotto cui poteva ancora covare la brace. Alcuni appartenenti a questo partito come il sottoscritto ne erano consapevoli e si cullavano nell'idea che sul lungo periodo, grazie ad iniezioni moderate dall'esterno, le due pulsioni avrebbero potuto temperarsi e dar vita ad un partito conservatore di matrice europea: democratico, nazionale e popolare. Con la fusione finale che ha portato al Popolo della Libertà tutto questo si è mutato in un'illusione. Cossiga ebbe ad esprimere la convinzione che questo nuovo soggetto fosse esattamente quello che dicevo prima: un partito conservatore, liberale, democratico, nazionale e popolare. A mio avviso sbaglia. Le correnti che si incontrano in questo coacervo sono tante e tanto varie da non poter giungere a questa definizione. Stefania Craxi ricordava che sono presenti moltissimi socialisti. Rotondi era in Campidoglio insieme a Cicchitto. Comunisti pentiti come Sandro Bondi ne fanno parte. C'è il liberismo, il movimento radicale, una parte del mondo cattolico, le istanze filo-israeliane e filo-americane. Ed inoltre l'universo composito di Alleanza Nazionale. Per non parlare dei berlusconiani tout-court. E' difficile dire che questo possa chiamarsi soltanto conservatorismo nazionale, liberale, popolare.
Dopo le elezioni e soprattutto dopo le vittorie ragranellate in ogni ordine e grado di amministrazione non è più pensabile tornare indietro. Da qui si può solo procedere. La mia opinione a questo proposito è nota: avrei preferito qualcosa di diverso. Ma accetto la realtà e non mi rifugio nell'utopismo. Oggi qualcosa di diverso non potrebbe essere praticabile. Viviamo in un ecosistema ed in questo dobbiamo adattarci a sopravvivere. Non possiamo pensare di spostarci con la gravità di Giove se siamo sulla Terra. E se devo guardare al futuro vedo questi saluti romani, queste croci celtiche come un segno del passato che verranno progressivamente riassorbite ed infine cancellate. Credo invece che un conservatorismo nazionale e popolare sia una corrente che può sopravvivere all'interno del Pdl. Una corrente, ne sono cosciente. Non una definizione che potrà mai includere o definire questo movimento politico nuovo. Abbiamo voluto un bipolarismo che assomiglia tanto ad un bipartitismo: dovremo imparare a viverci dentro. Con la vittoria di Alemanno però si chiude un ciclo, sancito peraltro in modo inequivocabilie dall'elezione di Gianfranco Fini a Presidente della Camera dei Deputati. Oggi la sfida si gioca sulla costituzione del Popolo della Libertà. Sulla sua organizzazione interna, sulla sua democrazia interna (che non è per nulla scontata). A questo punto nessuno si deve fare infinocchiare dall'idea che il vecchio partito di massa sia morto e sepolto. Dobbiamo costruire spazi di dibattito che non si basino soltanto sui personalismi dei leader e sulla spartizione delle cariche. Se saranno partiti all'americana quelli nati nelle scorse elezioni dovremmo imparare le vie del lobbismo, che non sono soltanto espressioni delle classi economiche e finanziarie ma devono essere anche pulsioni culturali di associazioni e think-tank. Americani? Ok, ma non a metà.